Era metà dicembre, il clima Natalizio era ormai nell’aria, quando un amico fotografo di vecchia data ci ha fatto una telefonata in redazione. Al solito le telefonate iniziano con una serie di complimenti che mettono in evidenza la nostra posizione geografica piuttosto decentrata e la regione di appartenenza dell’interlocutore: “Ciao crucchi” a cui segue un immancabile “Ciao terrone”!


foto Daniele Sinatra (TCF)

Iniziano tutte così le telefonate con Enzo Tempestini, ma questa volta invece di scambiarci i soliti affettuosi complimenti “Storm” (dal cognome “Tempestini”), non stava nella pelle e ci ha detto con voce quasi incredula: “vado negli USA al Supercross!”. Sono bastati pochi secondi per mettere a punto un idea: uno dei fotografi più apprzzati coronava il sogno da tifoso di andare a vedere il Supercross. Nasce così il “Storm trip @ SX USA”. Enzo Tempestini, ci racconterà il suo viaggio, a puntate e con tante immagini. Il viaggio che quasi tutti noi vorremmo fare.
Questa la prima puntata. Fate click sulle immagini per ingrandirle.

“Storm Trip @ SX USA”

Una giornata uggiosa di metà dicembre, squilla il telefono e la voce amica di un collega e compagno di tanti viaggi ti dice: “aho…ce nnamo in america a vede la prima del supercross o no?” la risposta è stata….”mmmm… fammi pensare un po’ almeno… ok si và!” In 2,5 secondi ho deciso ed il giorno dopo avevo già in mano o meglio, nella posta elettronica, la prenotazione del biglietto A/R Roma Los Angeles. Erano anni, e tanti, che dicevo di andare a vedere una gara di supercross, fin dai primi anni 80 quando in Italia iniziarono ad arrivare le videocassette della serie di gare considerate le più spettacolari al mondo. All’epoca erano i vari David Bailey, Ricky Johnson, Jeff Ward e Jonny O’Mara, a tenere banco nelle cronache da bar di noi appassionati e praticanti del motocross tradizionale, ma soprattutto amatoriale. Fin da quei tempi ho “sognato” di vedere da vicino le gesta di quei “maledetti” yankee che ogni volta al Nazioni ci facevano il cu…. opss, ci battevano inesorabilmente e stavolta, con la possibilità concreta di andarli a toccare con mano e da addetto ai lavori, l’occasione è stata troppo ghiotta per dire di no ed anzi, ci siamo fatti prendere la mano. L’idea iniziale era quella di “fare” la gara di Anaheim, tradizionale apertura della stagione SX da qualche anno e poi tornarcene a casa “buoni buoni” il venerdi successivo, dopo aver visitato i luoghi sacri del motocross californiano. Ma a quel punto la domanda è sorta spontanea….. perchè non ci fermiamo fino al lunedi successivo della seconda gara? E se sogno deve essere, sogno sia. Andata il 7 e ritorno fissato per il 17 Gennaio 2011.
Alla partenza, l’eccitazione per “andare di là” era paragonabile a quella di un ragazzino che riceve la sua prima bicicletta o meglio, la sua prima moto da cross tanto per rimanere in tema e il volo, con scalo in una innevata Newark (circa 20 Km da Mahattan) che nel complesso è durato circa 17 ore, me lo sono quasi dormito tutto.
Prima tappa, il tanto sospirato round #1 del supercross anno 2011 ad Anaheim (circa 20 Km dal centro di Los Angeles). L’impatto con il sistema organizzativo americano è stato a dir poco esagerato! Qui non esistono i cugini di quello, tantomeno gli amici di quell’altro… entri e paghi 20 dollaroni di parcheggio anche se ti chiami… David Vuillemin che ha oltrepassato l’ingresso in macchina proprio davanti a noi. Parcheggio? No… Immensa distesa asfaltata di non so quanti mila metri quadrati tutta intorno allo stadio, ma allora, penso io: è proprio vero che in America è tutto grande! Per cercare di capire bene il funzionamento del tutto e soprattutto per il fatto di non conoscere nulla e nessuno dell’ambiente, ci siamo presentati allo stadio con qualche ora di anticipo e per fortuna! Ci siamo potuti godere anche dei momenti di tranquillità dato la poca gente presente nel paddock.

Il paddock, una cosa esagerata! Colori, moto, donne, insomma…paddock o paradiso?

  

  

  

  

  

 

Quando poi incontri “Bubba” Stewart che ti passa di fianco e ti dice…”good mornig sir” allora pensi…è proprio il paradiso e sto sognando!

Il sogno inizia a diventare realtà man mano che incroci persone che conosci e ti conoscono. Stefan Everts, Ken Roczen, il collega e amico Pietro Ambrosioni (che al richiamo del classico “fischio alla camionista” si è girato di botto, sicuro di avere a che fare con un italiano) poi altri colleghi della stampa internazionale che abitualmente frequentano il mondiale, poi ancora Julien Bill, Clement Desalle ed altri, con Antonio Cairoli intento a chiacchierare con Seb Tortelli all’interno della tenda KTM e Luca De Rosa con deliziosa fidanzata (saluti a Natalie da tutta la redazione ndr) che stavano gozzovigliando sulle tribune in attesa della gara.

 

Il paddock è una cosa indescrivibile, un pullulare di persone, cose e situazioni che a ogni cambio di direzione ti sorprendono di più. Una volta assorbito l’impatto iniziale c’è stato l’approccio all’ingresso vero e proprio nell’arena. “The big A” il suo nick name, Angel stadium il nome ufficiale. Un catino capace di contenere al suo interno 45.000 persone sedute su spaziose e comode poltroncine, sede della squadra di baseball dei Los Angeles Angels che nel 2002 vinsero le World Series dopo un emozionante 4-3 contro i San Francisco Giants. Arrivare all’ingresso delle tribune non è stato difficile ma assorbire l’impatto emotivo dell’immensità architettonica di questo posto è stata una cosa non da poco e l’esclamazione “…minchia…” è l’unica parola che mi è uscita di bocca!

 

Quando poi sono iniziate le prove libere e i piloti hanno dato il via  alla loro “danza magica” sulle gobbe di un tracciato a dir poco impeccabile….allora la libidine è salita veramente alle stelle! Con l’avvicinarsi della gara (le 4 heat in programma e i due main event), un atroce dubbio è salito in me: “dove mi piazzo per vedere la gara?” Ogni posto vale l’altro ma per godere appieno delle sfarzosità annunciate della presentazione iniziale, la decisione è stata quella di portarmi sul punto più alto delle tribune dove, presumibilmente e dal parterre, sembrava non fosse possibile nemmeno riconoscere i piloti in pista. Mai previsione fu cosi sbagliata. Anche dall’ultima seggiolina dell’ultimo anello, lo spettacolo del supercross ti arriva dritto negli occhi.

Arrivando “sempre più in alto” mi sono trovato davanti l’ennesimo stewart dello stadio che indica, gentilmente con garbo e tanta cortesia, dov’è il tuo posto a sedere (sono tutti rigorosamente numerati e rispettati) ed ovviamente il mio biglietto di ingresso non era di quel settore ma Armando

(di chiare origine messicane ma che da 21 anni occupa quel posto e conosce a menadito tutto il settore) è stato gentilissimo di farmi accomodare a mio piacimento dopo una bella chiacchierata durante la quale mi ha anche raccontato la storia dello stadio (originariamente con capienza di oltre 60.000 spettatori). Tra una chiacchiera e un’altra, e l’incontro con l’infortunato Marvin Musquin che si è comodamente seduto in tribuna.

Alle ore 7.00 p.m. (che tradotto in orario europeo sarebbero le 19.00) e con puntualità svizzera è iniziata la cerimonia di apertura con la presentazione dei piloti. Fuochi d’artificio, luci, raggi laser, musica e l’immancabile inno nazionale americano ha fatto da preludio alla chiamata dei top rider che sono magicamente apparsi nel buio nelle posizioni più disparate dello stadio con grande stupore ed entusiasmo del pubblico.

 

Inno americano che questa volta, suonato dal chitarrista Daren Jay “DJ” Ashba dei Guns ´N´ Roses in una versione molto rock che mi ha fatto accapponare la pelle ma non dall’emozione ma piuttosto dal “non gusto” dell’interpretazione (mio modesto parere personale, ovviamente) Ma con la fine dell’inno nazionale ed i fuochi artificiali, la musica è cambiata e sono iniziate ad uscire dagli scarichi dei poderosi 4t le note a noi tanto care delle competizioni con la parata dei top rider che ha fatto da preludio alle heat di qualificazione al main event delle due classi.

 


To be continued, stay tuned!!!!